Un'utopia per la Chiesa

Per noi, ma non sto qui a chiarire chi siamo questi noi, pensare, riflettere, lavorare d'intelligenza, fare cultura; ricerca teologica, coinvolgersi politicamente, lottare socialmente ecc. ecc. in fondo è sempre unicamente raccontare.
È vivere cioè la grande avventura prima di tutto nel proprio mondo interiore, in quella spaziosità dell'immaginario assai più vasto della volta del cielo dove perfino le galassie ridimensionano la loro immensità e ugualmente nella profondità del mistero umano e della storia che inizia prima dell'inizio e continua ad esaltare e sgomentare, fino alle misure che sembrerebbero estreme, di questo nostro tempo.
Non è come sembrerebbe, eccezionalità questo vivere nella propria interiorità, l'universo: è semplicemente saper guardare la realtà, qualunque essa sia e l'immaginario, pazzo quanto si vuole, dentro di se, come in uno specchio. Portiamo tutti la capacità e insieme, quando non viene annebbiata, la trasparenza, perché la realtà dell'esistenza si rifletta in noi donandoci la possibilità di raccontare.

IMPORTANZA DEL RACCONTO
È questo raccontare, la vera e propria narrazione, che svela e manifesta i pensieri, le idee, i progetti, quest'animazione invisibile eppure determinante delle scelte, delle vicende, dello svolgersi, del dipanarsi del vivere la vita.
Il racconto della propria storia, insignificante o interessante che sia, significa che niente è avvenuto per caso ma per una preordinazione maturatasi dentro di noi, fino ad imporsi, a diventare inevitabile perché identificatasi con noi stessi.

IL SINODO
Pensavo e rigiravo dentro di me queste riflessioni che del resto mi sono molto familiari direi quasi come il mio respirare, nei giorni passati, durante il Sinodo dei Vescovi, a Roma, sul ruolo dei laici nella Chiesa.
Non ho nessuna intenzione di entrare in questo assurdo problema che fondamentalmente non dovrebbe essere nemmeno posto se la incontenibile e incessante sopraffazione del clero non l'avesse reso e con questa precisa programmazione, una impossibilità di soluzione.
Tanto meno avrei voglia di tentare chiarimenti teologici, più ancora evangelici, motivazioni intelligenti - un po' più intelligenti - pastorali, dati anche i tempi ecc.
Ho letto più che è stato possibile alla mia disponibilità, le prolusioni gli interventi, i documenti ecc. Ho seguito lo "spettacolo" delle cerimonie, così miseramente intenzionate, liturgiche e assembleari ecc. Discorsi, qualche piccolo, fraterno scontro, accenni di perplessità e insoddisfazione su tutto e su tutti la dolce nebbiolina ad ovattare ogni novità, ad arrotondare qualche angolo, a ristabilire con fermezza carismatica, come si conviene, la permanenza immutabile della Dottrina della Tradizione, da parte del Papa.
Molto bene, cioè non ne discutiamo, non solo perché è inutile data l'impossibilità, almeno attualmente di una qualsiasi novità, ma anche perché è dolorosamente chiaro, nonostante il Concilio Vaticano II, che i tempi, "i segni dei tempi". non hanno alcun potere nei confronti del clero, un mondo arroccato con ponti levatoi ovviamente manovrati dall'interno, come il sinodo recente ha ampiamente dimostrato.
Quindi niente ricerca culturale, assolutamente nemmeno l'ombra di una polemica, tanto meno l'ardire o la sciocchezza di avanzare idee, proposte ecc.

ALLORA IL RACCONTO
Però non può non essermi concesso il racconto, il raccontare.
Cioè quel ritornare indietro seguendo un filo conduttore, raggomitolandolo, a poco a poco, fino ad arrivare all'inizio, al punto di partenza. Può essere che ritornando a quel punto sia possibile capire tutto il racconto, per quanto strano possa apparire.
Ciò di cui vorrei raccontare è come è successo che io prete (era il 2 maggio 1943) a poco a poco, ma progressivamente, mi sono ritrovato ad essere sempre meno prete. Non so se questa patina ecclesiastica mi si è incrostata addosso. Forse nei primissimi tempi del fervore novello, ma i tedeschi del '44 fecero un buon lavoro di riduttività di ogni privilegio clericale. Poi subito dopo la parrocchia e la parrocchialità è sempre micidiale per rendere clero anche i sacrestani. La responsabilità delle anime, la disponibilità del Cielo e della Terra e quindi l'autorità.
Ho una memoria angosciosa dell'autorità per il semplice motivo che mi dovevo sforzare per sentirmi un'autorità e gestirla quest'autorità comportandomi come uno che conta, sa le cose, può e deve dare consigli, programmare e vigilare. Questa storia del vigilare mi era praticamente impossibile, diventava tutto un artificio che metteva in gioco la mia sincerità.
Non sto a raccontare la devozione per me della gente. Quella considerazione profonda, l'ascoltarmi con assoluta fiducia, l'affidarsi, quasi consegnarsi a me, perche io avevo in me, nelle mie mani, il potere, il potere sacro, sacramentale, il potere della parola, il potere della cultura, il potere politico... Ero uomo da piedistallo e poggiavo i piedi sull'umano e sul divino. Prete, sacerdote, ecclesiastico, chiesa... Così tanto che sotto tutte queste bardature civili, ecclesiastiche, spirituali, liturgiche ecc. spesso non avvertivo l'uomo semplice, libero, immediato, fatto di carne e di sangue, come tutti. Avevo profonda la sensazione di essere uomo di Dio e non quella, o almeno anche quella di essere uomo, concreto, pratico, fatto di quotidianità e di progetto.

PRETE SI EPPURE PRETE NO
Dunque mi trovavo profondamente a disagio, come fuori dalla mia strada, a fare il prete perfettamente in linea (o quasi) con il mondo ecclesiastico, dentro quelli schemi obbligati, quelle vie segnate e inconfondibili del Diritto Canonico, della Pastorale stabilita.
Prete o per essere più chiaro, sacerdote, sì, e a gran cuore, dal più profondo dell'anima, sicuro, sempre, che questa realtà di vita, era la mia unica vera ragion d'essere, il mio caro, adorabile destino.
A un certo punto (la mia maturazione si è andata poco per volta, assolutizzando) è stato inevitabile, si è imposta la necessità, prima e poi logicamente nella realtà pratica, di smontare pezzo per pezzo, la mia costruzione ecclesiastica. Il prete si è andato dissolvendo, il prete ecclesiastico e nel frattempo è andato costruendosi il prete-uomo o se si vuole, l'uomo-prete. È il tempo della decisione, chiara e netta, senza eroismo e bisogni di eccezionalità, di fare il prete-operaio.
È chiaro che a 36 anni, uscire dalla canonica, dalla parrocchia, dalla sicurezza a tutti i livelli del mondo ecclesiastico, dal circolo chiuso e ben difeso dei privilegi ecc. e andare a fare il manovale specializzato in un cantiere navale, la rottura fu totale. Il prete scomparve e così tanto che non era facile ritrovarne i segni caratteristici se non leggendo in fondo all' anima e scoprirne le profondità dove è sempre facile e possibile incontrare il Mistero di Dio.
È così la continuità della storia, un raccontare che investe e coinvolge Dio, Gesù Cristo, la Chiesa, il Regno di Dio, e quindi la libertà, la giustizia, l'uguaglianza: cioè il vivere insieme, dove la distinzione, la separazione, la differenza non esiste e è sacrilegio, tradimento che esista.
Il mio raccontare in fondo è raccontare camminando per la stessa strada di tutti, vivendo l'identica avventura, pagando gli stessi prezzi, lottando per le stesse liberazioni.
Ciò che accomuna appassionatamente è la Fede in Gesù Cristo e l'Amore per l'umanità. Il prete che è soltanto prete non può essere cristiano, sarà sempre e soltanto un prete.
Il gran problema che opprime e soffoca la Chiesa, Popolo di Dio, è soltanto questo che i preti (leggi anche Vescovi, Cardinali, Papa) non sanno, non possono, non vogliono essere che preti, vescovi papi. E perché questa possibilità-volontà non incontri complicazioni o possibili difficoltà, i laici, cioè gli uomini e le donne, non devono (ragioni divine o no) avere poteri, privilegi o tanto meno l'immagine del prete, l'uomo consacrato ad essere diverso, inimitabile, al di sopra, chiuso e ravvolto di mistero...

CLERO E LAICI
In questa realtà tipicamente propria di una religione (il cristianesimo non doveva essere una religione) la distinzione fra laici e clero è indispensabile.
Così la separazione, la differenza. Anzi tutta la forza, la potenza dell'istituzione è direttamente proporzionale alla solidità di questi piani e alla loro scrupolosa organizzazione. È così anche l'esercito, per l'organizzazione dello stato, in una azienda, per esempio una multinazionale ben organizzata ecc. ecc.
Gesù forse pensava e immaginava (sognava con adorabile utopia) che la sua Chiesa sarebbe stata fondata sul servizio non sull'autorità, sui piccoli non sui potenti, sugli ultimi e non sui primi ecc. Lo so che sono aspirazioni come sospiri di nostalgia, sogni antichi, anche se sempre nuovi, utopie pazze, ideali assurdi...
Va bene, ma io ho il mio racconto pratico, la mia follia concreta, scelte, fatti, vicende avventure, realizzazioni, vita vissuta, duramente pagata... e questo racconto è tutto un progetto: un progetto assurdo, d'accordo, come tentativo di concludere una storia e iniziarne un' altra, rovesciare posizioni e sistemi ormai assolutizzati, credere che l'impossibile diventi possibile.

L'UTOPIA
Perché è qui il mio racconto, io ho creduto, umilmente e ingenuamente, che il gran problema del rapporto fra il clero e il laicato potesse essere affrontato e in parte risolto, attraverso un cambiamento radicale del clero.
Abbreviarne le distanze, cancellare le differenze, spazzar via i privilegi, camminare sulla stessa strada, essere uguali o meglio ancora sotto i piedi di tutti, essere gli ultimi, senza diritti e solo con infiniti doveri... non essere più preti, clero, mondo ecclesiastico, ma semplicemente degli accattoni della bontà altrui, dei coinvolti e possibilmente dei travolti dalle lotte per la libertà, la giustizia, la testimonianza di una alternativa che si chiama Regno di Dio al regno degli uomini...
Il mio racconto, insignificante ma chiarissimo di Fede e di Amore alla Chiesa. L'essere operaio ha voluto dir questo, prima di qualsiasi altra cosa: togliere via una qualificazione, quella di essere prete eppur rimanere serenamente prete, uomo di Dio, fratello universale. Come lasciar cadere una maschera, un paludamento, una "divisa" e ritrovarmi, come solo, io, allo scoperto, con tutta la mia Fede e quella misteriosa carica di Amore fraterno, appassionata e inesauribile.
Il racconto può essere, è lungo quanto tutta la mia vita sacerdotale e il raccontarlo richiederebbe lunghe serate intorno al caminetto come nelle novelle del nonno.
Lo so che non è stato accettato durante l'avventura e tanto meno può essere gradito il racconto "quando ormai si fa sera" e non solo individualmente, ma anche nella Chiesa.
Allora i Sinodi per dibattere la spinosa questione del clero e del laicato: ma è perché tutto rimanga e si solidifichi così: il clero, il clero e i laici, laici.
E cioè come dire: amici e nemici. Potere e servizio. Autorità e popolo. Il monumento e il piedistallo. Il carro e chi sta sul carro e guida l'asino che rassegnatamente da millenni tira il carro e tutti coloro (sono tanti) che vi stanno comodamente adagiati.


Sirio Politi


in Lotta come Amore: LcA dicembre 1987, Dicembre 1987

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