La predica di don Sirio

Si è spento ieri, colpito da un male incurabile, don Sirio Politi. Nella Toscana di don Lorenzo Milani, la grande lezione di don Sirio ha segnato per decenni quell'incontro fra la terra e il cielo, fra 1'acqua benedetta e il sudore che rivela nel mondo i passi della lunga passeggiata del Dio dei cristiani.
Il cristianesimo non è amore o fratellanza, diceva un altro grande sacerdote. Altre religioni parlano di amore, altruismo, donazione. Il cristianesimo sarebbe una religione come le altre se dovesse consumarsi nei sentimenti e nelle buone azioni. Il cristianesimo succhia invece i propri umori da un uomo, da orme nella polvere, da bocconi di pane e da sorsi di vino: si è cristiani quando si è innamorati di Gesù Cristo. E di questo innamoramento don Sirio fu un segno instancabile su questa terra calpestata da quei passi lontani.
La spada fu segno di scandalo fra i suoi stessi confratelli. E la scelta di don Sirio - quella di vivere tra gli uomini come prete operaio, dividendo quella fatica che spesso vela lo spirito - gli procurò talvolta incomprensioni con le strutture gerarchiche. Ma i semi che spargeva a piene mani nel suo cammino non tardavano a produrre frutti: nei suoi scritti e nella sua vita si affollavano i discepoli e gli amici affascinati da quegli occhi luminosi, da quella allegria dell'amore, da quelle mani che battevano il ferro e scrollavano le api dell'alveare dai favi carichi di miele.
Ogni innamorato si identifica con la persona amata. E coloro che sentono la vocazione a imitare Gesù abbracciano il sacerdozio e salgono i gradini dell'altare per ripetere le prediche e le lezioni dei Suoi tre anni di vita pubblica.
Don Sirio aveva scelto altrimenti. Aveva scelto di viaggiare in quel tempo misterioso che tanto aveva affascinato François Mauriac: i trenta anni di vita privata di Gesù Cristo. Un tempo scandito dal lavoro, dalla fatica di vivere, dai gesti banali e semplici del quotidiano. Nel capannone di Viareggio in cui risuonavano i colpi del maglio le tenaglie di don Sirio non piegheranno più 1'asta addomesticata dalla fornace. Ma altri uomini e altre donne continueranno la sua avventura, e in quelle stradine della Darsena risuoneranno per molto tempo ancora i rumori di Nazareth.
Alcuni hanno scelto la vita di Gesù come modello esclusivo e vivono fra gli uomini senza mai rivelarsi. I Piccoli Fratelli, i seguaci di Charles de Foucauld, sono impiegati, manovali, domestiche, operai: la sera si ritrovano per una preghiera e una meditazione che non è mai pubblica. La Buona Novella non è per loro proselitismo ma solo esempio di vita. Don Sirio si sentiva molto vicino a questa predicazione silenziosa, ma era troppo figlio del suo tempo per evitare la lotta aperta. Ripeteva la vita privata di Gesù nel modo di essere in mezzo agli uomini, dividendo con loro i rischi e le pesantezze del lavoro manuale. Ma nei suoi libri e nelle riviste che animava, nelle corrispondenze fitte che intratteneva, nelle conferenze e nei «ritiri» non si sottraeva alla chiamata apostolica: gridava dai tetti quella fede che è essenzialmente un «voler credere», in cui la volontà non si dà una volta per tutte ma deve essere riconquistata ogni giorno. E scendeva volentieri in campo con la tonaca e il messale nelle grande cause civili: la pace, l'inquinamento, il nucleare lo vedevano in prima fila a dibattere e ad agire.
Il «maestro di musica», il grande personaggio di Herman Hesse che educa i discepoli di quella spirituale repubblica ove regna solo l'amore di conoscenza e bellezza, si avvicina al termine della sua vita.
E nelle sue ultime ore, racconta il grande scrittore, la fragile figura del vecchio si illumina , in una laica trasfigurazione, della luce trasparente dello spirito che fugge la carne stanca. Così vorrei ricordare, fra la terra e il cielo, gli ultimi istanti di don Sirio.



Fabrizio Galimberti


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1988, Febbraio 1988

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