Cristo muore a Beirut

Ci sono dei fatti che mettono in crisi le nostre speranze; fatti amari e carichi d'angoscia da appesantice parecchio il cammino d'ogni giorno e da annebbiare se non la Fede spesso però la comprensione chiara di ciò che dovrebbe significare credere in Dio, amarlo Con tutto il cuore e di conseguenza amare tutte le creature.
Ci sono momenti in cui mi prende profonda vergogna di chiamarmi «cristiano», in cui sono in imbarazzo nel dichiararmi «discepolo di Cristo». E la vergogna non è davvero a causa del Suo Nome: non mi vergogno di Gesù Cristo, anzi sono infinitamente felice di aver conosciuto la sua Storia. il poterlo sentire compagno fedele lungo la strada, il crederlo vivo, risorto, liberatore dentro la storia universale.
M'i vergogno del mio nome di cristiano, della mia storia di Chiesa cristiana, di tutta una storia drammatica e spaventosa che ancora oggi si sta svolgendo per le strade e per le piazze. i paesi, i cuori degli uomini miei fratelli. La vergogna è a motivo di tutto un tradimento che sempre più si fa evidente del messaggio e della vita. di Gesù, del «Suo» cristianesimo - se così si può dire - e cioè della sua scelta assoluta di Dio-Padre, della misura del Suo Amore, dei modi concreti della sua esistenza storica, della sua lotta combattuta secondo la logica della croce.
A confronto di questo cristianesimo di Gesù tutta la complessa vicenda religiosa che nel Suo Nome continua a svolgersi nel cammino dell'umanità impallidisce e spesso diventa tragica bestemmia. Questa «frattura storica» fra il mio, il nostro cristianesimo e quello proclamato e vissuto da Gesù, è la ragione vera del mio disagio, dell'imbarazzo, del pudore che sta crescendo nell'anima mia e quindi della difficoltà a dichiarare di «essere di Cristo»: sento che qui si gioca una autenticità di vita, una serietà radicale di essere uomo vero e perciò figlio vero di Dio.
La mia dichiarazione di cristianesimo, di ricerca di fedeltà all'invito di Gesù a prendere la sua stessa strada, a compiere non la mia ma la volontà del Padre, a servire e non ad essere servito, ad amare tutti anche i nemici, a dare sempre e tutto, a morire senza mai uccidere: questa dichiarazione diventa sempre più come un fuoco ardente che. brucia l'anima, scava alla radice del mio essere fino a togliermi quasi la possibilità di pronunciare superficialmente la mia fede.
Non è che io non voglia essere cristiano: sono profondamente attirato da Cristo, credo con tutto il cuore che Lui è il figlio di Dio, il Salvatore, il Liberatore dell'umanità. Credo al suo Vangelo di Giustizia. di Fraternità e di Libertà. Sento che il mio mondo, lo spazio vero in cui mi riconosco pienamente come uomo e riconosco tutti - nessuno escluso - come fratelli, è in Lui. Ed è per Lui che ho deciso di impegnare la mia vita, il mio destino umano.
Ma la storia di tutti i giorni mi mette in contraddizione, mi pone in crisi, mi scava vuoti enormi nel cuore e mi riduce al silenzio. Un silenzio di Fede, di Amore e di tanta solitudine. In una realtà sociale, politica, religiosa in cui tutti si dichiarano tranquillamente cristiani come si fa a non sentire un imbarazzo. Un disagio? Industriali cristiani, generali cristiani, poliziotti cristiani, eserciti cristiani: ma di quale cristianesimo si tratta? Che cosa c'entra questo cristianesimo con quello di Cristo? Che rapporto c'è fra la storia concreta (non spiritualizzata) della comunità cristiana e la storia di Gesù, il suo impegno. fra gli uomini, il suo messaggio e soprattutto la sua vita? Fino a che punto si può dire che la Chiesa continua nella. storia (la prolunga, la rende attuale) l'opera di Salvezza, di Redenzione, di Liberazione del Figlio di Dio fatto uomo?
E' problema di cui altre volte abbiamo parlato, ma rimane problema fondamentale per capire la provocazione di Dio nella storia di oggi, nel tempo che ci è dato di vivere. Non c'è dubbio che il nostro tempo è sovraccarico di questa provocazione che dovrebbe spingerci ad una conversione incessante dal nostro cristianesimo (quasi di contrabbando) a quello vero che il Padre ci ha fatto conoscere nel Figlio suo.
Mi è bastata una pagina di giornale letta al termine di una normale giornata di lavoro a smuo-vere dentro l'anima questo senso di angosciosa vergogna per una storia di cristianesimo in cui sono inevitabilmente coinvolto, di cui non posso non sentirmi responsabile.
Ho pensato di trascriverne una parte perché mi è sembrata un tragico segno dei tempi: come un grido dello Spirito di Dio a lacerare il buio della notte in cui spesso ci muoviamo troppo tranquillamente. E' una semplice pagina di giornale; ma insieme una testimonianza tremenda della tragedia che ha sconvolto un intero popolo segnando nello stesso tempo la morte di migliaia di creature e la morte di un cristianesimo assurdo, di una religione vuota, di un dio di schiavitù e di morte anziché di libertà e di resurrezione.
«Roma, 27 gennaio.
Con la tregua e la riapertura dell'areoporto qualcuno riesce a filtrare dal Libano.
Con una sua storia, gli occhi colmi di cadaveri, incendi, violenze. Maria C. deve la sua vita al fatto di essere cristiana. Il suo quartiere, di palestinesi e musulmani, è stato cancellato nel giorno di Natale dalla mappa cittadina di Beirut. E così tutti gli abitanti di Quarantine, fino all'ultimo bambino. Uccisi dai falangisti, cioè dai maroniti che appartengono all'ala più estremista e fascista dei cristiani. Quarantine è un quartiere-ghetto con strade strettissime, case in disfacimento, molte fabbriche artigiane, molto sporco e pieno di odori disgustosi. "Oggi - dice Maria - l'odore è quello dei cadaveri". A Beirut lo conoscevano tutti come il quartiere di Maslakh, il peggiore della città...
Nelle battaglie di questi ultimi mesi, Maslakh .aveva dato molto fastidio ai falangisti... Così, probabilmente, sussurra Maria. decisero di passare all'azione.. «Cominciò con un bombardamento di mortai. Attaccarono dalla parte del porto». Maria era chiusa in casa da molti giorni... L'attacco andò avanti per tutta la mattina di Natale. I falangisti per penetrare nel quartiere usarono dei bulldozer. Decine di case di lamiere e di carta crollarono, il quartiere venne stretto in una morsa di fuoco... L'ordine era quello dì uccidere tutti i musulmani, ma di non toccare il resto della popolazione. A mezzogiorno i falangisti avevano in mano il quartiere. Due di loro, giovanissimi, entrarono sfondando la porta in casa di Maria. "Fuori - disse uno -- sei morta". Poi si misero a frugare nei cassetti; Maria per molti minuti non riuscì a parlare per il terrore... Poi quello che saccheggiava richiamò il compagno e la donna nell'interno. Teneva alta una grande stampa di Gesù Cristo. "Come mai questo è in casa tua?" chiese. Solo allora Maria riuscì a sbloccarsi. "Sono cristiana" disse; e poi in un soffio spiegai che mio fratello e mio padre combattevano con i falangisti". Vide i due perplessi guardarsi; poi il saccheggiatore le chiese di recitare una preghiera. "Quale?" - "Quella che vuoi" rispose. Così recitai il Padre Nostro. Abbassarono le armi. "In strada è pericoloso. Resta qui. quando tutto sarà finito verremo a prenderti".
A Maria lasciarono anche un bracciale con le iniziali della falange. "I colpi di mortaio e le mitragliatrici cessarono di sparare. Cominciarono con i mitra. Si sentiva la gente gridare in strada". Instupidita rimase per ore al buio con il terrore che tornasse qualcuno.
Alla fine decise di scendere in strada. "Volevo andare a trovare mio fratello e mio padre";... Alcuni falangisti quando videro il bracciale le sorrisero. Portavano due uomini e una donna con un bambino. La donna e il bambino vennero mandati da una parte. I due uomini con un colpo di pugnale vennero messi inginocchio. Poi da pochi centimetri con i fucili gli spararono alla testa. Furono i primi morti di quel giorno di Natale visti da Maria».
(da «Il Giorno» del 28.1.76).


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1976, Febbraio 1976

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