Don Sirio e la Chiesetta del Porto

Ecco il testo del canovaccio abbiamo utilizzato per rievocare la storia di Don Sirio e della Chiesetta del Porto nella bellissima, affollatissima e creativissima festa di ieri, magistralmente condotta con animo nobile da Stefano Pasquinucci. Si tratta di un assemblaggio di testi tratti da documenti storici, libri, scritti e dichiarazioni di Don Sirio. La voce narrante (in tondo) è la mia (Riccardo), la voce recitante (in corsivo) quella di Rebecca. Dedicato a Maria Grazia Galimberti e a Don Luigi Sonnenfeld, memorie storiche della Chiesetta.

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Quando Sirio Politi nacque nel 1920 a Capezzano, il piccolo edificio che, opportunamente ristrutturato, doveva diventare la sua Chiesetta del Porto esisteva già da qualche anno. Era il presidio della Sanità marittima - del resto il nome "Moletto Sanità" ancor oggi caratterizza l'intera zona - costruito verosimilmente nella seconda metà degli anni Dieci. Questa stazione di disinfezione costituì fino alla fine degli anni Trenta l'unico punto sanitario nel quale si potevano disinfettare oggetti provenienti da bastimenti posti in quarantena o in odore di qualche pericolo, in "bandiera gialla" come si usava dire per l'obbligo assegnato alle imbarcazioni infestate di issare sul pennone un giallo vessillo. Un inventario redatto nel 1931 descrive la grande stufa costruita su modello dell'Ingegner Torriani con la quale si disinfettavano gli effetti personali dei marittimi delle imbarcazioni trattenute in rada col sospetto di quarantena.

L'edificio, situato in una zona appartata, ormai in disuso, dopo la seconda guerra mondiale subì un progressivo degrado al punto da essere definito "il cantaccio". Fu occupato da una giovane donna dedita alla prostituzione, la "Primetta", con la madre e quattro figlioli. Tutti coloro che hanno conosciuto la "Primetta" tendono a descriverla come una ragazza buona, ingenua, invecchiata anzitempo a causa delle spaventose condizioni di vita a cui era sottoposta.

In quegli anni Don Sirio era il parroco di Bargecchia; giovanissimo, aveva preso il posto di un confratello, Don Giuseppe Del Fiorentino, barbaramente ucciso dai tedeschi. Era allora un prete come tanti, anche se forse più vivace di altri. Tuttavia durante un decennio di esperienza parrocchiale maturò lentamente in lui una lenta trasformazione. Il sacerdote ancora legato alla forma e alla tradizione lasciò il posto a un innamorato dello Spirito che avvertiva il bisogno di spogliarsi di tutto e vivere povero tra i poveri.

"Non posso più stare qui. E' vero, è un posto incantevole, la gente mi vuole bene.. Ma io ho bisogno di uscire da questi privilegi, troppo stretti per me, e guadagnarmi da vivere, con il sudore, come tutti gli altri. E proprio per questo Gesù mio portarti sempre con me.."

Fu così che Sirio incontrò il "cantaccio" e decise di costruirvi la sua piccola chiesetta.

"Ho chiesto aiuto ad un amico dirigente della compagnia del porto... vorrei trovare una barca... una stanzetta tutta per me e una piccolissima Cappella per Gesù, cullate dall'acqua. Lui invece mi ha portato qui e mi ha indicato questo posto. Lì abitano due povere donne: la Primetta e sua madre. Vivono in condizioni spaventose.. con i bambini.. Bisognerebbe trovar loro una casetta nuova e poi.. eccolo... Il posto per una Chiesa e un prete. Basterà tirar su un tetto a chiglia, un muro di fondo costruito con pezzi di travertino, dove poter murare il tabernacolo... E una stanzetta accanto. Dove abitare io e Gesù. Io ospite suo. E dovrò trovare un lavoro".

E il "cantaccio" divenne la chiesetta di cui oggi festeggiamo i 50 anni. L'albero maestro di un veliero fece da trave portante per la ristrutturazione. La parete di fondo fu costruita a blocchetti di travertino. Una lastra di ferro con una catena in croce formò il tabernacolo, assemblato con maestria da Antonio Giorgetti, discendente di una famiglia di fabbri ferrai della Darsena. Al di sopra il pittore Beppe Domenici dipinse Gesù crocefisso su una tavola di rovere. Un solido blocco di travertino costituì l'altare. Di pietra vecchia e massiccia furono fatti i sedili per i fedeli. Il tutto collegato da catene di vecchie navi. Perché nella piccola chiesa a far motivo di raccoglimento e di preghiera fosse tutta la Darsena nel suo vivo quotidiano lavoro di cantieri navali, di pesca e di trasporti marittimi. Povere cose ma dignitose, com'è povero e dignitoso il lavoro del carpentiere, del pescatore e del marinaio e come deve essere povero e dignitoso chiunque va in cerca di Dio e vuole trovarsi in preghiera con lui. Anche la "Primetta" ebbe una casetta nuova tutta per lei dove far crescere i quattro figli. Il 15 agosto 1956 Padre Ubaldo Forconi dei Servi di Maria celebrò la prima messa. Vent'anni dopo, nel 1976, il pittore Giovanni Lazzarini decorò le mura esterne con un murale raffigurante il Cristo crocifisso che santifica con la sua presenza ieratica l'ambiente popolare della Darsena.

Fu quell'ambiente, non sempre favorevole alla Fede, allo spirito religioso, ad accogliere Don Sirio nella sua decisione di farsi prete-operaio. Tre anni di partecipazione a tutta la vita operaia, prima al Cantiere Picchiotti, poi al Cantiere Itoyz. Lavoro duro, stanchezza terribile, quasi insopportabile. La difficoltà del mestiere non bene posseduto, le umiliazioni del non riuscire. Le parole d'incoraggiamento, di pazienza, di amore fraterno. Ma anche pregiudizi da sfatare, diffidenze da vincere. Un prete è a lavorare nella condizione operaia perché il lavoro ha una dignità da salvare, perché il Figlio di Dio ha lavorato per tanti anni, perché la condizione operaia è vita di gran parte dell'Umanità e ha diritto di essere vissuta e raccolta da Sacerdote e portata, nella sua anima e sul suo altare, a Dio. L'ambiente popolare della Darsena capì, non la gerarchia ufficiale ecclesiastica che impose a Sirio un umiliante e ottuso aut-aut.

"Ed io sono stanco.. così stanco da non sapere come arrivare all'ora dell'uscita. Ma oggi è l'ultimo giorno, e nessuno sa. Timbrerò il mio cartellino per l'ultima volta. Si sentiranno abbandonati, come mi sento io, abbandonato dalla mia Chiesa. Proprio lei ha distrutto, annullato il mio cuore, finito, morto".

Sirio non se la sentì di abbandonare la Chiesa. Ma il Cristianesimo è anche etica personale, libero arbitrio, scelta di giustizia e di amore. Il Prete deve partecipare, per quanto è possibile al suo dovere di Amore universale, alla lotta per il pane. Ed ecco che un Prete cammina mescolato fra gli operai per le vie della città a protestare per i licenziamenti, a chiedere pressioni su chi di dovere per avere il lavoro. Sirio fondò anche un mensile che ebbe molto seguito tra gli operai, chiamandolo appunto "Il nostro lavoro".

"Hanno occupato la Fervet. Sono andato ma la direzione non mi dato il permesso di entrare... Dio però ha voluto che qualcuno chiedesse una Messa, per la domenica. Sono andato... Ma non sono passato per la porta principale. Arrivato al muro, gli operai mi hanno calato una scala, e una volta salito, mi hanno aiutato a scendere dall'altra parte. E non ho solo scavalcato un muro, ma un abisso di divisione. E la direzione mi ha pure mandato a dire che per la violazione di domicilio, bla bla bla.. Opportuni provvedimenti. E mi sono chiesto se Dio era più al di là o al di qua del muro.."

Il sogno di una vita comunitaria. Il vescovo, dimostrando finalmente fiducia e aperture inaspettate, dà l'approvazione per la nascita di una comunità contadina a Bicchio. Ancora il lavoro come elemento di unione, questa volta il lavoro di artigiano del ferro battuto, con l'amico Don Rolando. Vivevano in campagna, con tutte le metafore della fertilità, della gemmazione, della vita come potenziale prefigurazione del paradiso se vissuta con gioia e rispetto. L'anima più contemplativa e lirica, più mistica di Don Sirio trova il giusto accoglimento.

.. E le viti gemmeranno di germogli che ci riempiono la cantina di meravigliosa fragranza, di bicchieri di sangue vivo della terra, limpido come la cordiale amicizia dei contadini dalle mani dure e quindi dalla stretta sincera".

Il ribollio della fine degli anni '60 lo rigettò nella mischia e nel '71 ritornò in città. Don Sirio ospitò don Luigi, don Beppe e Maria Grazia nella sua chiesetta in darsena. Era troppo figlio del suo tempo per evitare la lotta aperta. Tutte le battaglie ecologiche lo videro in prima fila ad agire e combattere. Durante una manifestazione contro una centrale nucleare, avendo occupato insieme ad altri la ferrovia, fu denunciato e condannato a sei mesi con la condizionale. Poi con il referendum il sogno diventò realtà.

"Questa vittoria ha dimostrato che l'utopia è una forza nascosta nell'immaginario, nella fantasia, nei sogni impossibili, nell'inconscio del cuore. Che può cambiare, rovesciandola, la storia, le leggi e la cultura dominante ed arrogante. Ora altre utopie..."

Da questi temi al pacifismo e all'antimilitarismo e ai problemi della pace, il passo è molto breve.. Gli sembrava inconcepibile credere in Dio al di fuori di una coscienza dell'attuale realtà storica.

"La pace nasce spontanea dalla convergenza dei popoli. Dall'incontro, dall'integrazione delle culture, dal rispetto vicendevole delle religioni, dall'uguaglianza delle razze, dal superamento dei confini, dalla sparizione degli eserciti, dalla distruzione di ogni armamento... un'altra utopia..."

Progetta di realizzare un campo della pace nel parco circostante la chiesetta, coinvolgendo artisti, intellettuali, poeti. Tiene in gran conto l'arte e l'artigianato. Prima di partire da Bargecchia aveva dipinto di sua mano una Resurrezione di Cristo nell'abside della chiesa. Nel '79 aveva inaugurato in via Virgilio un laboratorio conosciuto come "il capannone" dove si eseguivano lavori artigianali spesso ispirati agli antichi mestieri: ferro, rame, impagliatura di sedie, ceramica, legatoria di libri, cuoio, falegnameria; vi partecipano anche portatori di handicap o persone con disagi fisici e psichici che qui trovano occasione per ravvivare le proprie capacità.

Ma nel 1986 una grave malattia comincia a dare i primi segni..

"Una malattia strana quella che mi è stata riservata, e ancora dopo estenuanti ricerche, non è stata diagnosticata con precisione".

Passa due anni tra l'amata Chiesetta e gli ospedali..

"... questo mondo dominato dalla scienza e da uomini che la rapportano al malato in maniera fondata sul potere e di conseguenza sulla paura, dove la sensibilità è inaridita dalla ricerca scientifica".

E vive la sua malattia come una via necessaria per il compimento di tutte le sue scelte, dalla scelta di Gesù a quella operaia, alla realtà di lotta, nella vita sociale ed ecclesiale, fino all'esaurimento delle forze fisiche..

"Arrivare in un luogo ed essere tutto lì. Niente è rimasto di me nel luogo di prima perché ho dato tutto. Sono libero totalmente e quindi appartengo a questa terra dove sono arrivato".


Riccardo Mazzoni - Rebecca Palagi
2 settembre 2006



in Lotta come Amore: LcA dicembre 2006, Dicembre 2006

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